Confronto fra sintomi ossessivi di
due culture diverse
GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 04
maggio 2019.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Emil Kraepelin, nel quarto volume del suo celebre
trattato di psichiatria, data al 1860 le prime osservazioni psicopatologiche sul
comportamento ossessivo[1] ma, come riporta Sandor Rado nell’edizione
italiana dello storico American Handbook of Psychiatry
diretta da Silvano Arieti[2], si dovrà attendere Sigmund Freud per la precisa definizione di un’entità
clinica denominata nevrosi ossessiva.
Da quel momento in poi, e fino a tempi recenti, il paradigma interpretativo
impiegato dal fondatore della psicoanalisi si fonde nella cultura psichiatrica con
gli elementi oggettivi e costanti che costituiscono la forma dello psichismo e
i sintomi del disturbo, consolidando una concezione erronea della genesi dei
processi psichici associati alla sofferenza del paziente, come si può
verificare con la lettura della descrizione del quadro clinico nella lezione 17
dell’Introduzione alla Psicoanalisi.
L’acuta capacità di analisi,
l’abilità descrittiva e narrativa, associata ad un’intelligenza creativa non
comune, hanno consentito a Freud di elaborare testi che, oltre ad avere il
pregio di attagliarsi alla fenomenica emergente e a quanto riferito dai
pazienti affetti dal disturbo, forniscono spiegazioni plausibili e per certi
aspetti convincenti dell’origine psicodinamica dei sintomi, nell’ambito di un
presunto arresto dello sviluppo libidico allo stadio anale. Nel corso dei
decenni, con l’entrata di alcune chiavi di lettura psicoanalitiche nella
cultura popolare e con il diffondersi delle interpretazioni psicodinamiche dei
sintomi anche grazie agli stessi pazienti che le hanno divulgate, si è andata
affermando la convinzione generale di una genesi psicologica delle ossessioni,
dei comportamenti rituali, degli atti di annullamento, delle formazioni
reattive e di tutte le altre manifestazioni.
Ancora oggi, che in psichiatria si è
abbandonato da molto tempo il modello patogenetico psicodinamico e si vanno
delineando con sempre maggiore precisione le basi neurobiologiche e neurofunzionali del disturbo ossessivo-compulsivo, esistono
psicologi e psicoterapeuti che continuano a impiegare quel paradigma. Lo stato
attuale delle conoscenze suggerisce il determinarsi, per effetto di fattori
genetici, di un condizionamento funzionale che squilibra i rapporti fra sistemi
neuronici che mediano singoli processi psichici, causando la produzione dei
sintomi. L’iperfunzione del sistema di segnalazione dell’errore e l’uscita dal
controllo a feedback di circuiti che
sono spenti quando un atto materiale o mentale è stato compiuto, possono
spiegare le ripetizioni di azioni[3] e le reiterazioni del pensiero[4]. Naturalmente, il profilo delle alterazioni neurobiologiche che influenza
la fisiologia cerebrale opera all’interno di una dimensione psicologica delle
dinamiche mentali, che si fa responsabile della complessa fenomenica
intrapsichica e comportamentale che caratterizza ciascuna delle persone affette
dal disturbo.
L’abbandono dell’ipotesi
eziopatogenetica psicodinamica ha accresciuto l’interesse per il ruolo dei
fattori ambientali nella formazione dei sintomi. In particolare, l’influenza
della cultura è un oggetto privilegiato di osservazione, anche se spesso gli
studi condotti in questo campo soffrono di limiti metodologici e non hanno un
definito quadro teorico di riferimento per declinare la psicologia culturale. Ozcanli e colleghi di un gruppo di studio belga hanno
analizzato e posto a confronto le ossessioni in un vasto campione di Turchi e
Belgi, nel quadro ben noto della psicologia connessa con le due differenti
culture nazionali, ed hanno ottenuto risultati di notevole interesse.
(Ozcanli F., et
al., Obsessions Across Two
Cultures: A comparison of Belgian and Turkish Non-clinical Samples. Frontiers
in Psychology - Epub ahead of print doi: 10.3389/fpsyg.2019.00657. eCollection,
2019).
La provenienza degli autori è la seguente: Center for
Social and Cultural Psychology, Faculty of Psychology and Educational Sciences,
KU Leuven, Leuven (Belgio); Research Group of
Quantitative Psychology and Individual Differences, Faculty of Psychology and
Educational Sciences, KU Leuven, Leuven (Belgio);
Centre for the Psychology of Learning and Experimental Psychopathology, Faculty
of Psychology and Educational Sciences, KU Leuven, Leuven (Belgio);
Faculty of Medicine and Health Sciences, University of Antwerp, Antwerp (Belgio).
La convinzione dell’origine del disturbo ossessivo-compulsivo dalla personalità ossessiva aveva creato degli
stereotipi descrittivi che sono stati oggetto di caratterizzazioni letterarie,
teatrali e cinematografiche del passato, quale l’inglese con bombetta e
ombrello, formale[5], ordinato, introverso, ostinato, metodico, abitudinario, caparbio,
meticoloso, pignolo, cavilloso, puntuale, esigente, estremamente logico e
razionale ma con alcune eccezioni, talora celate o dissimulate, quali credere
in particolari superstizioni o accettare possibilità irrazionali.[6] Le differenze culturali facevano apparire solo in parte diverso, per stile
ed aspetto, l’ossessivo delle città dell’Europa meridionale, magari con una più
accentuata propensione per fisime rupofobiche e
patofobiche, ma con la stessa tendenza al controllo, ad azioni di annullamento,
a precauzioni e ripetizioni eccessive.
L’errore consisteva nel ritenere che
il disturbo ossessivo-compulsivo
fosse uno sviluppo patologico di quello stile di personalità e, pertanto,
potesse verificarsi solo negli ossessivi. Per decenni si sono considerati
eccezioni, o semplicemente sono stati trascurati, tutti quei casi in cui i
pensieri ossessivi e i comportamenti compulsivi comparivano in persone
estroverse, informali, superficiali, disordinate, estemporanee e poco inclini
alla sistematicità. Eppure, proprio in costoro i sintomi risultavano più
evidenti perché in contrasto con stile, carattere e temperamento della persona.
Più in generale, mentre in passato
si riteneva che la nevrosi fosse
espressione di uno scompenso dell’adattamento fisiologico che normalmente segue
lo stile di personalità di ciascuno e così le nevrosi isterica, fobica e
ossessivo-compulsiva rappresentassero la condizione patologica delle
personalità isterica, fobica e ossessivo-compulsiva, oggi il vincolo della
struttura di personalità per l’analisi della formazione dei sintomi è scomparso
e, dunque, scontate le ragioni neurobiologiche, il ruolo dell’ambiente
culturale nel modellamento del comportamento patologico assume un interesse
proporzionalmente maggiore. Inoltre, si deve sottolineare che, a differenza del
passato quando lo studio dell’influenza culturale era focalizzato sullo stile
del comportamento, oggi si indaga particolarmente la possibile azione della
cultura sulla struttura dei sintomi.
Ozcanli e colleghi hanno adoperato un approccio metodologico rigoroso e un
definito riferimento di psicologia culturale per analizzare e comparare la
struttura e la frequenza delle ossessioni in campioni non clinici (N = 706) di
volontari provenienti dal Belgio, paese di cultura occidentale, e da aree della
Turchia caratterizzate da contesti culturali non occidentali. Le ossessioni
sono state valutate e classificate con uno strumento di nuova compilazione che
ha incluso una vasta gamma di forme di ossessione.
La struttura delle ossessioni e
l’equivalenza trans-culturale sono state valutate entrambe nella raccolta
complessiva (pool) dei dati e nelle
due culture separatamente.
L’esame interpretativo del materiale
psichico ha suggerito ai ricercatori dei criteri per un’organizzazione
sistematica di quanto raccolto. Ad un livello astratto hanno riconosciuto una struttura a due fattori, che rimaneva
invariata da una cultura all’altra e appariva egualmente adatta a ciascuna
delle due culture. Tale struttura identificava due tipi di ossessioni, ciascuno
dei quali corrispondeva a un differente modello di rappresentazione.
Rispetto al campione turco, i
volontari belgi riferivano un maggior numero di ossessioni che possono essere
comprese adottando un modello di
rappresentazione disgiunta (indipendente), come frequentemente si riscontra
nelle società di cultura occidentale. I turchi hanno invece riportato un
maggior numero di ossessioni che possono essere ricondotte ad un modello di rappresentazione congiunta
(condiviso), come in genere si rileva in contesti culturali non occidentali.
Un aspetto molto significativo è che
le differenze fra i tipi prevalenti di ossessioni erano sistematiche e perciò facilmente
interpretabili.
Oltre alla struttura a due fattori, invariante tra le due culture, Ozcanli e colleghi hanno trovato fattori di soluzione
specifici per cultura; queste soluzioni evidenziano, nell’esperienza delle
ossessioni, differenze culturali che richiedono un approfondimento per essere
pienamente comprese.
I risultati di questo studio
indicano una direzione lungo la quale procedere per un interessante lavoro che
è solo agli inizi.
L’autrice della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione
della bozza e invita alla
lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-04 maggio 2019
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è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in
data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1]
Kraepelin E., Psychiatrie,
Vol. 4, p. 1823, Barth, Leipzig, 1915.
[2] Arieti S. (a cura di), Manuale di Psichiatria in 3 voll., vol.
I, p. 339, Boringhieri, Torino 1985.
[3] Ripetizioni che avvengono secondo costruzioni coscienti create sul
bisogno inconsapevole di ripetere: ad esempio, lavarsi le mani un certo numero
di volte tali da garantire – secondo la frequente razionalizzazione del
paziente – una sicurezza igienica. Il numero delle ripetizioni, assimilato alle
pratiche di “pensiero magico dell’ossessivo” secondo il modello psicoanalitico,
potrebbe semplicemente derivare da un’esperienza di spegnimento del circuito iperattivo,
e con questo della spinta ad agire, dopo un dato numero di reiterazioni.
[4] Una base neurofisiologica
alterata, in cui manca il feedback
negativo che dovrebbe spegnere il circuito che avvia l’ideazione, potrebbe
portare alla rielaborazione indefinita che fa apparire il paziente dubbioso.
Freud afferma: “… il dubbio si insinua nel campo intellettuale, e a poco a poco
corrode anche ciò che abitualmente è più certo. Il tutto sfocia in una sempre
crescente indecisione, mancanza di energia, limitazione della libertà” [Freud
S., (1915-17) Introduzione alla
Psicoanalisi, Universale Scientifica Boringhieri,
N. 39/40, Torino 1969].
[5] Secondo l’interpretazione
psicoanalitica, l’ossessivo stacca l’affetto dalla rappresentazione (meccanismo
dell’isolamento dell’affetto) con la
conseguenza dell’adesione formale ad uno stile di rigorosa correttezza
comportamentale che, associato a una gentilezza che si suppone originata per formazione reattiva, caratterizza un
agire cortese ma sempre un po’ distante.
[6] Si parlava di “pensiero magico
dell’ossessivo” nella semeiotica di impronta psicoanalitica.